Sunday, March 04, 2007

3 marzo 2007: guarda che luna....


senza parole


Sunday, February 18, 2007

ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale

Rientro dopo mesi di assenza nel mio caro blog per parlare di un telefilm che mi ha inchiodata allo schermo fino ad ora, si chiamava L'onda del bene e del male (the wave)...

Durato quattro mesi e poi bruscamente interrotto (l'attore principale si è buttato su un nuovo progetto cinematografico, così dice il gossip, ma si parla anche di scarsi ascolti) mi ha tenuto incollata allo schermo per tutti questi mesi impedendomi di fare altro...

La storia è presto detta:nel futuro prossimo venturo un giovane di belle speranze viene ingaggiato da una banda di cacciatori di taglie come responsabile di un nuovo super computer destinato a rivoluzionare il mondo dei cacciatori di taglie, creato dal capo della banda...
in realtà tale super computer non esiste e il giovane protagonista dovrà trovare il modo di far funzionare l'astronave sulla quale viaggiano con tecniche di sopravvivenza alla McGyver, osteggiato dal comandante in seconda la cui considerazione verso il protagonista varia da "minimum" (così vengono definiti gli appartenenti alla più bassa classe sociale, relegati a fare i lavori più umili) a spia dei concorrenti....
in realtà (colpo di scena) anche questa squadra è composta da ricercati ....

composto da un cast di emergenti, nel quale spiccano diversi personaggi interessanti, come il droide incaricato di vigilare sull'operato del protagonista, la serie oscilla tra il comedy e il dark, come nella scena in cui il protagonista viene sottoposto ad un processo farsa per insubordinazione (il tono è kafkiano) dopo essere stato messo dai capi stessi in quarantena per evitare di contagiare l'equipaggio con un virus preso dando la caccia all'ultimo evaso

qui la serie si interrompe...volete sapere come va a finire?anch'io....

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Friday, November 10, 2006

fantasmi di carne (Ferro3)

doppio avviso ai lettori: il post contiene informazioni dettagliate sul film e l'autrice non conosce altre opere dell'autore pertanto si scusa di eventuali concetti ovvi, ma tralasciati o totalmente al di fuori della concezione artistica del regista

Un volantino per terra, due volantini per terra... il terzo è rimasto appeso alla porta. Ecco che il giovane motociclista, che porta con sé ancora un altro plico di volantini strappa quel pezzo di carta, forza la serratura ed entra nell'appartamento. Ferro3 di Kim Ki-duk mette silenziosamente in scena una storia d'amore dove realtà e illusione si avvolgono dolcemente tra loro.Senza cadere nel banale, il numero 3 travalica e dilata i confini del triangolo amoroso per diventare esperienza di vita onirica e poetica.Tae-Suk è, a tutti gli effetti, il "terzo incomodo": approfittando dell'assenza dei proprietari entra nelle loro case e le vive; lava i loro indumenti, ripara quello che non funziona più ed infine si fotografa con loro, o meglio con le loro fotografie, come un qualunque ospite in visita.Eppure queste sue intrusioni/incursioni non sono senza conseguenza. Tae-Suk non è una presenza innocua, non è un fantasma. Agisce, ama, ma può anche ferire. Gli effetti delle sue visite si vedono già nel primo appartamento: Tae-Suk aggiusta una pistola giocattolo che il figlioletto dei proprietari rivolgerà contro sua madre ferendola inconsapevolmente.Poi incontra Sun-Hwa. Moglie silenziosa di un marito violento, non reagisce come chiunque altro farebbe di fronte ad un estraneo in casa, ma agisce come il giovane intruso: lo osserva fino a che un terzo personaggio, questa volta il marito, non richiama l'attenzione su di lei.I due giovani si uniscono, non prima di aver cercato di eliminare l'uomo, ormai terzo incomodo, dal loro sistema (con una mazza da golf, il ferro n°3, quello che viene usato più raramente in quell’attività).Ma appropriandosi delle familiarità altrui vengono scoperti: Tae-Suk subisce la vendetta del marito tradito e finisce in carcere. Qui il film, già con pochissimi dialoghi, diventa ancora più silente, addentrandosi nello strano comportamento del giovane. Che cosa fa? Semplicemente si allena a diventare un fantasma, anzi un ombra. Incurante delle botte e degli insulti si addestra a diventare invisibile, a nascondersi alle spalle delle persone e divenire loro stesse.Così, una volta terminata la prigionia, egli dapprima ripercorre i luoghi che lo hanno condotto al carcere (la casa dove ha passato la notte tra le braccia di Sun-Hwa, il pugile che lo ha picchiato, il poliziotto corrotto) ed infine torna dall'amata. E qui, nella casa della giovane, dove lo spettatore si attende forse il consumarsi della vendetta contro il marito violento, si assiste al completo assorbimento di Tae-Suk nella coppia. Egli diventa l'ombra del legittimo sposo al punto che Sae-Hwa può dichiarare il suo amore per il giovane guardando in faccia il consorte, che nemmeno si accorge della presenza estranea (il numero tre) felice della rinnovata serenità della moglie. Solo lei può vederlo, solo lei può percepire l'esistenza di questo ectoplasma in carne e ossa e godere finalmente della felicità nella stessa casa che fino a quel momento era stata soltanto una trappola.Diverse le sequenze da tenere a mente: la giovane in auto ferita dalla pallina da golf, la sepoltura del vecchio sconosciuto e naturalmente il bacio finale dei due, in quell'abbraccio che avvolge e allo stesso tempo isola ed espelle il marito.Film poetico, ma non dimentico della trama, Ferro3 resta uno di quei film capaci di far sognare e di sognare, nel senso più sconvolgente del termine.

Wednesday, November 01, 2006

questione di gender (Transamerica)

Ad una settimana dall'operazione chirurgica che sancirà definitivamente il suo essere "donna" Bree (Felicity Huffman) scopre di avere un figlio, Toby, frutto di una relazione eterosessuale (lesbica secondo i suoi parametri) avuta anni prima. Il ragazzo è in galera, si prostituisce per vivere e raccimolare abbastanza soldi per andare in California e realizzare il suo sogno: diventare un attore porno. Prima di potersi sottoporre all'agognata operazione Bree dovrà fare i conti con il suo IO passato....
Transamerica di Duncan Tucker è un insolito road movie.
Una donna interpreta un uomo che vuole essere una donna e un ragazzo che esercita quel mestiere che nella maggior parte dei film è prerogativa delle donne (l'unica eccezione che mi viene in mente è Belli e dannati di Gus Van Sant)...

Un viaggio alla scoperta di se stessi e delle proprie radici, un tentativo di accettarsi nel bene e nel male (per Bree avere a che fare col proprio figlio significa non cancellare il suo passato maschile) senza per il momento indagare nel macro tema delle relazioni sociali....accettare se stessi per farsi accettare ....uscire dal cliché della "checca isterica" ed elaborare il significato della parola "normale"...
Film forse non per tutti, ma consigliato a tutti. Niente lezioni, niente morale, solo un po' di s(tr)ana vita di tutti i giorni....

Non posso fare a meno di chiedermi quale volontà spinga una persona (uomo o donna) a modificare, plasmare così il suo corpo. Mi chiedo quale gabbia possa essere questo involucro fatto di carne e sangue perché si decida di cambiarlo...cosa voglia dire guardarsi allo specchio, sentirsi donna e vedere un uomo (e viceversa), accettare di soffrire, di sottoporsi a quel mix di trattamenti estetici, pillole, operazioni dolorosenon per cambiare, forse, ma per tornare a essere quello che si è davvero...

Monday, October 16, 2006

messaggio importante

Secondo l'art. 32 del decreto legge n° 262 dallo scorso 3 ottobre non è più possibile riportare il testo di un qualsiasi articolo tratto da siti o giornali, pur citandone la fonte. Per poterlo fare occorre pagare un compenso all'editore, pena sanzioni.
Ho firmato l'appello della campagna NO alla tassa sulle rassegne stampa, che chiede al governo il ritiro del decreto legge.
Firmiamo in tanti...

Nascita di un guru

Lasciato dalla fidanzata Kazuo entra a far parte di una setta fino a diventarne il nuovo guru.

Strano racconto, quello di Takeshi Kitano. La storia di questo sperduto ragazzo che inconsapevolmente diventa membro di un nuovo credo che venera un non precisato dio e che vede nei miracoli truccati qualcosa di assolutamente necessario per guadagnare proseliti lascia perplessi e divertiti. Kazuo si avvicina a questo mondo quasi per caso, per un colpo di testa e ne diventa il portavoce più autorevole (ma senza potere decisionale) rimanendo invischiato in una serie di illegalità che qualunque altro scrittore avrebbe denunciato.
Tempo fa lessi Underground. Racconto a più voci dell'attentato alla metropolitana di Tokyo di
Murakami Haruki. Il testo raccoglie le testimonianze di alcuni dei sopravvissuti all'attentato del 20 marzo 1995, quando una setta religiosa di Aum intossicò con il sarin le migliaia di pendolari che ogni giorno affollano i treni. Un'opera drammatica e vera.
Il testo di Kitano invece si sviluppa su tutt'altra linea, forse. Non è satira, non è denuncia, è forse uno sguardo disincantato e distratto (come il suo protagonista) su come le parole e la fede possano diventare arma, salvezza o fonte di reddito.
Protagonista nell'ombra è infatti Shiba, donnaiolo, ubriacone e violento, in realtà il vero ideatore della setta; colui che ne ha plasmato le regole (e prontamente le infrange) e ha creato il "guru". Come? Scoprendo che ogni setta, ogni religione più o meno grande, copia o fa riferimento ad un'altra, in una specie di macro ipertesto religioso. Eppure anche Shiba, nella sua perdizione, è alla ricerca di dio, della prova della sua esistenza, o meglio di un'ombra della sua esistenza. Egli, sembra spiegare, ma considerato il personaggio non ne sarei tanto sicura, ha peccato nell'attesa di una manifestazione di un castigo divino, prova intrinseca della sua presenza e quando finalmente questa punizione (ricercata) arriva, essa non sarà certo un motivo per fermare la sua folle vita.
Così, tra false guarigioni, yakuza, violenti e veri credenti (o creduloni) il libro scorre lasciandoci travolti, in balia di eventi che non possiamo controllare o capire, un po' come Kazuo, forse destinato a fare grandi cose, o forse soltanto un'altra pedina in un gioco più grande di lui.

Saturday, October 14, 2006

Il Diavolo veste Prada

Premesso che:
1)
Meryl Streep è meravigliosa;
2) La questione delle trasposizioni da libro a film è vecchia quanto quella dell’uovo e della gallina (ed ancora senza soluzione);
permettete un paio di considerazioni sulla
pellicola di David Frankel da parte di chi ha letto e apprezzato il testo di Lauren Weisberger .

Il romanzo
Il diavolo veste Prada è un gradevolissimo racconto su una giovane che entra a far parte di un mondo che non le appartiene (quello della moda) e dove ognuno è nemico dell’altro (come in gran parte dei posti di lavoro dove vale il detto mors tua vita mea).
La versione cinematografica è una leggerissima commedia dove, a dire la verità, il sarcastico realismo “griffato” con i quali si trattavano i rapporti di lavoro è stato “dolcificato” a favore di un divertito viaggio nell’universo della moda. Senza addentrarsi troppo nelle differenze tra libro e film, il confronto tra la Miranda cartacea e quella in pellicola va decisamente a favore della prima. Non tanto per la recitazione dell’attrice (a mio dire spettacolare nel ruolo, perfetta dal capello alla scarpa), ma piuttosto per una questione di sceneggiatura.
Nel film Miranda, il temutissimo boss, diventa inspiegabilmente un essere umano. Certo, ancora da biasimare, ma con alcuni seppur piccoli tratti che potrebbero rendercela più umana, quando in realtà tutto quello che noi assistenti, stagisti, neoassunti, vorremmo, è vedere finalmente sullo schermo la sintesi di tutto quello che un capo non dovrebbe mai essere per poter poi dire agli amici che non ci credono: vedi, con questa gente io ho (oppure, per i più fortunati,
ho avuto) a che fare!
La Miranda della Weisberger è un concentrato di cattiveria, cinismo e assoluta mancanza di rispetto nei confronti degli altri, forse perché sempre vista dall’esterno, dal basso verso l’alto: il punto di vista della protagonista nella quale prima o poi tutti si trovano a riconoscersi. Miranda/Meryl Streep (o meglio quella dello
sceneggiatore del film), mostra fievoli, ma irritanti sprazzi di debolezza (si fa vedere con gli occhi rossi e in vestaglia dalla sua assistente, sorride?!?!) che obbligano in qualche modo a diventare indulgenti (o almeno a pensare di diventarlo) nei suoi confronti. Tutto ciò a discapito del film, che perde tono, restando si scorrevole e divertente, ma smarrendo in qualche modo quell’aura di paradossale veridicità che altri film, come la pasticciona protagonista de Il diario di Bridget Jones avevano.
Come già accennato, il film si traduce in realtà in un divertente viaggio all’interno della moda e rimane un’occasione mancata per descrivere le trappole di tale ambiente. Sembra che, di fronte all’ultimo moto di ribellione della protagonista (che nel libro rivolgeva un liberatorio “fuck you” al boss), prevalga la necessità di giustificare o far comprendere i meccanismi di tale ambiente e personalità. Forse, ma è una mia ipotesi, tutto ciò è dovuto all’inevitabile esigenza di non pestare i griffatissimi piedi delle case di moda o della moda in generale che al film hanno naturalmente contribuito. A mio giudizio nel rapporto accusa/ attentuanti a tale universo sono le seconde a prevalere: si pensi alla tirata di Miranda sulla genesi del colore ceruleo per i maglioni o alle parole di Nigel (chapeau naturalmente a
Stanley Tucci) sul perché Miranda sia un buon capo…
Nella sua demenzialità
Zoolander aveva fatto di meglio…

Ad ogni modo, resta un film piacevole, divertente, una buona commedia e soprattutto un’occasione per capire cos’è in e out nel nostro guardaroba (!), indicazioni per cui milioni di ragazze morirebbero….

Friday, October 13, 2006

dotto'

un augurio speciale alla mia amica Vale che da ieri è Dottoressa in legge (104/110)...COMPLIMENTI!!!